Incontro con Adam Filippi

Basket e sogni: Adam Filippi incontra i giovani cestisti di Modena al DDB 2024

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Dal 17 al 27 giugno si è svolta la quinta edizione del DDB Basketball Workout presso la palestra Scuole Mattarella di Modena. L’edizione 2024 nasce dalla collaborazione tra Davide Diacci e la Società Universal Basket 2010, uniti dai medesimi valori sportivi e dalla comune visione di formazione dei giovani. Il successo del corso dipenderà essenzialmente da quanto avrà aiutato i ragazzi ad incrementare il loro potenziale tecnico e mentale.
L’obiettivo comune del Coach Davide Diacci e della dirigenza Universal è che il corso di specializzazione diventi un punto di riferimento per la pallacanestro modenese. In continuità con il lavoro fatto dalle società durante l’anno, quello di coltivare la passione e i talenti del territorio.

Sabato 22 pomeriggio, ad incontrare i 20 atleti impegnati nel DDB c’è Adam Filippi, un nome che risuona nel mondo del basket come talent scout e player development in NBA.
La sua presenza non promette solo una lezione esclusiva sulla tecnica di tiro, ma un’immersione completa nel mondo della pallacanestro.
L’incontro con Adam Filippi va oltre il tiro perfetto, si parla di passione, di dedizione, di fiducia, di crescita personale e professionale, di come coltivare il proprio sogno con impegno e corrette abitudini.

E dopo la pratica, spazio al “Question Time” e alle riflessioni perché “Basketball never stops”.

Incontro con Adam Filippi: parliamo di giovani, di pratica, di sogni e di fiducia.

Adam, hai lavorato con giovani cestisti di diverse generazioni e conduci Camp e Clinic in tutto il mondo. Ti sembra che sia cambiato, e in che modo, il loro approccio al basket nel corso degli anni, in termini di impegno e di aspettative?

Ammetto di essere un po’ preoccupato per una questione di energia emotiva e di comunicazione, a livello di linguaggio corporeo e verbale. E’ una questione generazionale e di cultura. I ragazzi sono cambiati, sono più bravi di noi in tante cose, ma hanno troppi strumenti e non riescono a fare le cose semplici e divertirsi in modo semplice.

La passione per la pallacanestro c’è, ma credo che manchi l’autoesigenza di miglioramento. I ragazzi oggi fanno tutto ma non so se hanno quella forza interiore che fa chiedere a loro stessi qualcosa in più.
Accontentarsi ti limita tantissimo, magari qui c’è un futuro giocatore professionista o un futuro scienziato che salverà il Mondo, no lo so, però l’accontentarsi è un atteggiamento che, soprattutto in Italia, accettiamo troppo facilmente.

Parliamo del corretto equilibrio tra solidità tecnica e solidità mentale. In quale dei due aspetti credi che le nuove generazioni debbano maggiormente lavorare o mostrino maggiore fragilità?

E’ un topic importantissimo che giro sul tiro. Per fare canestro la tecnica di tiro è la cosa più importante, ma la differenza tra un buon tiratore e un grande tiratore la fa la solidità mentale, a cui aggiungo anche la componente emotiva.
La debolezza emotiva o l’instabilità emotiva spesso rovina un ragazzo con una buona tecnica e una buona mentalità. Accade perché magari non riesce a reagire alle difficoltà, all’errore o non sa contenere le emozioni.
A me piacciono tantissimo i giocatori emotivi, laddove però c’è una stabilità emotiva, per me non c’è niente di più bello che mostrare le emozioni e vivere le emozioni.
Però, se penso a me stesso, ad esempio, io ero troppo alto i giorni buoni e troppo basso i giorni in cui non ero in forma. Aver trovato sfogo nell’arte, non vivendo solo di sport, mi ha permesso di raggiungere quel bilanciamento emotivo utile per costruirmi il futuro.
Ritengo sia importante approcciarsi parallelamente a passioni, contesti ed attività alternative che ti danno felicità, come può essere l’arte o vivere lo studio con ambizione.
Abbiamo tanti esempi nel basket come Pippo Ricci di Milano, laureato in Matematica, una persona solidissima.

Nel tuo libro “Shoot Like The Pros” spieghi come migliorare la tecnica di tiro, che possiamo sintetizzare nella frase “La pratica non rende perfetti, la pratica perfetta rende perfetti.” In quali aspetti gli atleti trovano maggiore difficoltà o cosa fanno più fatica a comprendere?

Il tiro è un’analogia della vita potente, ci sono dei passi, ci sono dei fondamenti. Per avere un buon tiro devi assicurarti che stabilità ed equilibrio siano alla base, altrimenti costruirai un tiro barcollante e questo è pericoloso.
I due libri che ho scritto forniscono progressioni per il giocatore e per l’allenatore e ti fanno capire che ci vuole tempo per raggiungere i risultati, e soprattutto è importante avere pazienza. I ragazzi vogliono risultati immediati, l’anno scorso un ragazzo, in un evento come questo, in 5 giorni voleva diventare un giocatore di serie A, ma questo non è possibile.
La fretta di avere risultati spesso porta all’impazienza e questa, a sua volta, spinge i ragazzi ad abbandonare, così per qualsiasi attività.

Molti grandi sportivi attribuiscono il loro successo al “self-confidence”. Celebre la frase di Kobe Bryant ‹‹Se non credi in te stesso, nessuno lo farà per te›› ritieni che questo sia sufficiente? O pensi che il termine confidence debba essere considerato nel suo senso più ampio, fiducia nei confronti della società, del coach, della squadra, del proprio ruolo nella squadra?

Un’altra frase di Kobe è “Confidence comes from preparation”.
Tu non credi in te stesso, credi nelle ore di lavoro che ci hai messo tutti i giorni durante una stagione.
E’ lì che nasce la sicurezza e comunque, per me, la confidence può rimanere passiva per un lunghissimo periodo. Poi un’esperienza positiva, come quella di fare il canestro dell’ultimo secondo che ti fa vincere la partita, può far accelerare la fiducia nei tuo mezzi.
Un episodio di successo può cambiare tutta la tua strada, così come un episodio negativo ti può demolire.
La confidence è anche sapere che tu saprai reagire a qualsiasi tipo di errore ti si presenterà davanti.
La fiducia viene dopo che tu hai assaggiato un minimo di successo, ma dove? In allenamento, perché, solo l’allenamento, ci permette di sperimentare e vedere qualche risultato prima di trasferirlo in partita.
Sviluppare un’abitudine, una routine quotidiana dà fiducia.

Qual è il messaggio del tuo intervento di oggi che, più di tutti, ti auguri sia arrivato ai ragazzi?

Vieni qui e la prima cosa che pensi è, cosa organizzo a livello tecnico da fargli fare in modo che non si annoino e imparino qualcosa di nuovo?
L’obiettivo di un evento come questo è creare una situazione in cui il giocatore impari ad allenare se stesso, lontano dalla squadra e dall’allenatore.
Poi, hai visto come dal basket e dall’idea di mettere la palla nel canestro, si è aperto un altro mondo. Abbiamo parlato di tutt’altro che di cose tecniche, abbiamo parlato di episodi di vita, di team, di empatia, di rispetto, di stare bene insieme. Quando guardiamo il basket solo come sport fine a se stesso stiamo sbagliando, perché gli stiamo attribuendo un ruolo riduttivo. Non comprendiamo la formazione e l’educazione che ci dà. Anche se un atleta smette di giocare a 20 anni, la formazione sportiva ricevuta contribuirà a completare la crescita umana della sua persona.


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